In base alla recente indagine del “Global Talent Competitiveness Index (GTCI) 2015-16” tra i primi paesi con le migliori performance in termini di competitività dei talenti troviamo la Svizzera, Singapore e il Lussemburgo. Seguono nella classifica dei primi dieci Stati Uniti, Danimarca, Svezia, Regno Unito, Norvegia, Canada, e Finlandia.
Questi paesi hanno dimostrato un’ottima apertura in termini di mobilità dei talenti con una percentuale di nati all’estero del 43% per Singapore e del 25% per Svizzera e Lussemburgo.
Nella top 20 del gruppo dei paesi virtuosi si registra, rispetto al 2014, oltre all’ingresso in posizione finale della Repubblica Ceca, una maggiore circolazione dei talenti per la Nuova Zelanda ed un lieve calo delle performance per Canada ed Irlanda. L’Italia si colloca invece 40esima all’interno del gruppo dei paesi dalle più modeste performance e 26esima tra i paesi Europei; dimostrandosi in linea con quei paesi che esprimono talenti ma che non creano circoli virtuosi per attrarre quei profili altamente qualificati che potrebbero investire sul territorio, creare startup, lavorare nella ricerca e fertilizzare il tessuto produttivo lavorando in quelle aziende che ne fanno richiesta.
Tuttavia analizzando i criteri alla base di questa classifica emergono dati interessanti per il nostro paese.
In particolare viene fuori che il nostro paese risulta tra quelli che generano potenziali talenti attraverso una buona formazione dei giovani a partire dalla scuola primaria fino all’università (24esimi su 109); e che inoltre il sistema dell’Education risulta essere in una fase di evoluzione più dinamica rispetto agli altri paesi.
Quello che tuttavia ostacola la circolazione dei talenti, in entrata e in uscita nel nostro Paese, è la scarsissima mobilità sociale (90esimi su 109); l’ascensore sociale è fermo e non si investe nei talenti dopo la laurea.
Per quanto riguarda poi l’inclusione sociale rimaniamo a metà classifica; come pure per quanto riguarda la tolleranza degli immigrati e delle minorante etniche. Manteniamo posizioni dignitose sull’uso dei social network (37 esimi su 109) e dei network professionali (27 esimi su 109). Ma ciò che ci caratterizza come paese davvero poco attrattivo, sia in entrata che in uscita, è il livello della cosiddetta Tertiary education (71 esimi su 109), ovvero delle specializzazioni universitarie (master, dottorati ecc.). Infine, ricopriamo posizioni non brillanti per quanto riguarda la forza lavoro specializzata con competenze di alto livello (66esimi su 109); non possediamo abbastanza high skilled, quelle che dovremmo formare dopo la laurea; il mercato del lavoro è chiuso rispetto alla mobilità geografica (non incrementa lo spostamento di lavoratori esperti e dirigenti da e verso l’estero). Ricopriamo poi le ultime posizioni in termini di sistema di tassazione (107esimi su 109).
A parere di analisti internazionali, tuttavia, la formazione universitaria superiore non è solo un potente motore per la costruzione delle basi della crescita sociale ed economica di un paese come pure della sua competitività; ma è anche uno strumento attraverso il quale, grazie alle conoscenze, abilità e competenze avanzate sviluppate e alla ricerca scientifica di base e applicata svolta, si fa funzionare al meglio un intero sistema. Il ruolo dei poli di ricerca e dei cluster territoriali, facendo interagire fra di loro istituzioni, imprese, mondo della ricerca e della formazione, diventa dunque sempre più importante al fine di rafforzare quel collegamento tra il territorio e i luoghi del sapere (formali e informali) che, sebbene in Italia sia stato già avviato, dobbiamo continuare a sviluppare per metterci in pari almeno con paesi a noi vicini quali Francia, Germania e Spagna, che sono molto forti nell’integrazione tra formazione e territorio.
Altra questione di rilievo affrontata dagli analisti internazionali è la necessità di creare un collegamento tra mondo della formazione e mercato lavoro attraverso il riconoscimento di una rinnovata importanza dell’apprendimento professionale e della sua integrazione nell’insegnamento a partire dalla scuola superiore. A tale proposito la Svizzera, che è il paese al primo posto di quest’indice, ci mostra come la questione dell’occupabilità viene affrontata dalla medesima molto presto e a scuola. Dai 15 anni in poi, più del 70% degli allievi sceglie la strada dell’apprendimento professionale concentrandosi sull’esperienza professionale pratica; e che, inoltre, all’interno del Governo svizzero, la metà dei ministri proviene dal mondo professionale.
Per essere competitivi nel futuro nel mercato dei talenti è dunque necessario investire nella formazione professionale e nell’occupabilità dei propri giovani con maggior incisività e l’alternanza scuola lavoro, introdotta di recente dalla legge italiana, ne rappresenta un buon inizio.
RAPPORTO Global Talent Competitiveness Index (GTCI) 2015-16