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NIENTE CRISI PER LA JOB ECONOMY DELL’ICT. MA C’È SKILL GAP

25 Mar 16
AVF Staff
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Secondo l’indagine “e-Competence Benchmark”, condotta dal consorzio europeo Cepis, entro il 2020 il settore potrebbe avere bisogno di 900mila lavoratori che tuttavia non riuscirà a trovare, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Attualmente il settore dell’Information technology garantisce al 78% dei propri addetti un posto di lavoro a tempo pieno ed il 36% è assunto da grandi gruppi imprenditoriali, ma solo il 23% possiede le competenze sufficienti per operare ai massimi livelli. I profili oggi più diffusi sul mercato (i project manager ed a seguire gli sviluppatori, i consulenti, gli amministratori di sistemi, i Cio e gli specialisti delle tecnologie) non sono quelli di cui il settore avrà bisogno nel futuro. Esiste un enorme divario tra le conoscenze teoriche dei professionisti e quelle effettive. Ad esempio, solo il 7% dei project manager (il profilo più diffuso tra i 2.200 partecipanti all’indagine) risulta disporre della preparazione prevista dal framework europeo per svolgere questo incarico.

Sul fronte generazionale e sul versante gender,  si notano ancora gravi carenze di giovani occupati e uno squilibrio di genere. L’età media europea per un professionista è di 42 anni e solo il 16% è under 30. In tutto il continente, inoltre, solo il 15% è donna e le figure più comuni sono trainer Ict e project manager.

La parità di accesso al mercato del lavoro è un problema molto sentito anche in Italia. L’età media degli addetti informatici è in linea con quella europea, ma i giovani del nostro Paese pagano un record negativo che nessuno vorrebbe detenere: la percentuale di lavoratori sotto i trent’anni è di gran lunga la più bassa di tutta la Ue (11,2%). Stesso discorso vale per le donne che corrispondono all’11% del totale dei professionisti It (ovvero a quattro punti percentuali in meno rispetto ai dati dell’Unione).

Il nostro paese inoltre non si differenzia troppo dagli altri Paesi sul grado di scolarizzazione degli addetti, almeno per quanto riguarda i livelli di istruzione superiore, anche se un terzo dei professionisti possiede un background formativo non focalizzato sull’Ict.

Con l’accesso all’università il discorso cambia e la forchetta con la Ue si allarga: il tasso di lavoratori con laurea, master o dottorato è inferiore alla media europea (79% contro 86%). Solo il 26% degli italiani che ha partecipato all’indagine ha infatti ottenuto un master o un dottorato, mentre la media del resto del continente è invece del 40%.

La situazione non è ovviamente uguale all’interno dei vari profili richiesti dalle aziende. In tre casi (sviluppatori, amministratori di database e amministratori di sistemi) il livello di istruzione raggiunto è inferiore alla media dei colleghi degli altri Paesi. Invece, per ruoli quali business information manager, business analyst, Ict security manager, project manager e account manager si riscontra che almeno il 90% degli intervistati ha ottenuto una laurea o un titolo superiore.

In definitiva, come sottolineato dal Direttore di Aica (l’Associazione che rappresenta il consorzio Cepis in Italia) i professionisti Ict hanno il potenziale per fornire un enorme contributo alla ripresa economica dell’Europa, ma ciò non potrà accadere a meno che non si trovino abbastanza persone con le capacità adeguate. Garantire un numero sufficiente di lavoratori con le giuste competenze deve diventare una priorità assoluta per tutti e in particolare per l’Italia, dove risulta fondamentale incoraggiare un maggior numero di giovani nella carriera dell’information technology.

Technopolis, marzo 2015

CEB_EUROPEAN_REPORT