Monthly Archives:Marzo 2016

QUALE RUOLO PER LA GARANZIA GIOVANI?

31 Mar 16
AVF Staff
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Il piano di intervento in ambito di mercato del lavoro del governo è stato improntato su un duplice binario quello di  una riforma della legislazione lavorativa e, in parallelo, quello del potenziamento delle politiche attive del mercato del lavoro.

Per colmare lo storico ritardo dell’Italia rispetto ad altri paesi Europei, in relazione a questi tipi di interventi (ad esempio formazione, centri per l’impiego), il governo ha costituito la Nuova Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), formata da enti pubblici (INPS, INAIL, centri per l’impiego) e privati (agenzie private di impiego), che ha il compito da una parte di fornire un elenco nazionale unico sia delle persone che cercano lavoro sia delle offerte di lavoro disponibili, dall’altra di condurre la profilazione dell’utente (necessità di formazione, ambiti lavorativi di interesse, CV) e gestire l’assegno di ricollocamento, ovvero un voucher per il disoccupato da poter spendere per attività di formazione presso i centri accreditati.

Sempre nell’ambito di questo stesso piano di intervento il governo ha anche preso parte all’iniziativa Europea della Garanzia Giovani, un sistema di interventi atto a garantire a tutti i giovani disoccupati tra i 15 e 29 anni la possibilità di usufruire di una serie di interventi pensati per migliorarne l’occupabilità , senza quindi offrire direttamente un posto di lavoro creato dallo Stato. Questi interventi includono corsi di formazione, opportunità di apprendistato, il servizio civile e lo stanziamento di sussidi all’occupazione per le imprese che assumono giovani partecipanti al programma di Garanzia.

Dopo quasi due anni dall’introduzione del programma è possibile fare i seguenti bilanci sui risultati raggiunti rispetto agli obiettivi. A marzo 2016 oltre un milione di giovani italiani si era registrato alla piattaforma Garanzia Giovani, su un totale di circa 2.5 milioni di giovani NEET tra i 15 e 29 anni.  Il programma ha effettuato la presa in carico di circa il 65% dei partecipanti e ha offerto una qualche possibilità di formazione o lavoro a circa il 30 % di essi. Inoltre, i dati sulle iscrizioni e la presa in carico sono aumentati col passare del tempo; segno che l’operatività del programma sta aumentando e con essa anche il tasso di adesione. Risultati questi che potranno anche migliorare a seguito della nuova legislazione del mercato del lavoro che facilita le assunzioni di giovani alla prima esperienza lavorativa, come pure in conseguenza del fatto che il governo ha approvato il piano di potenziamento generale delle politiche attive e che l’ANPAL inizierà la sua funzione di coordinamento tra centri pubblici e privati dell’impiego.

Restano tuttavia ancora irrisolte alcune delle problematiche nella progettazione e implementazione della Garanzia Giovani.  In particolare va capito meglio quale fra gli strumenti utilizzati dal piano risulti più efficiente. Sembra infatti che la maggior parte degli utenti abbia usufruito dei sussidi all’occupazione, mentre gli altri elementi, quali formazione e orientamento, siano rimasti in secondo piano. In questo caso la Garanzia Giovani rischierebbe di avere, come dimostrato da molti studi,  un effetto positivo solamente nel breve periodo sulle prospettive di impiego degli individui che ne beneficiano, con alti costi per le finanze pubbliche.  Se l’esperienza lavorativa acquisita attraverso il sussidio non genera un aumento permanente di capitale umano da parte del lavoratore al termine del sussidio le sue prospettive di carriera rimarranno infatti invariate. L’evidenza empirica mostra, inoltre, che se i sussidi all’occupazione non sono adeguatamente mirati i medesimi possono avere effetti distorsivi sulle scelte di assunzione per le imprese (ad esempio, sostituire lavoratori adulti con giovani) o finanziare addirittura assunzioni che avrebbero avuto luogo anche in assenza del sussidio. Questo sembra in particolare il caso dei sussidi attualmente in campo, i quali sono disponibili per tutti i partecipanti alla Garanzia Giovani, malgrado l’ammontare del sussidio varii a seconda delle prospettive di impiego del lavoratore. Risultati preliminari di una valutazione d’impatto della Garanzia Giovani sembrano infine mostrare come il programma abbia avuto un effetto positivo sulle assunzioni di giovani a tempo determinato senza nessun effetto nei confronti della assunzioni di carattere permanente.

Quale ruolo per la Garanzia Giovani?

 

 

È ARRIVATA LA FINE DELLE FAMIGLIE IMPRENDITORIALI ITALIANE?

30 Mar 16
AVF Staff
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I fondatori delle startup di successo rappresentano una nuova razza di imprenditori che potrebbe subentrare al tipico modello familiare italiano.  La loro visione, passione e leadership è ben diversa da quella che in Italia abbiamo avuto fino ad almeno due decenni fa. In particolare il loro modello di business ed il rapporto con l’azienda ed i suoi stakeholder è “disruptive“.

L’apice del loro successo è infatti l’exit, che per il 90% dei casi significa cedere l’azienda ad un acquirente, possibilmente straniero, perché può pagare di più, nonostante il fatto che chi compra (come accaduto in alcuni casi nel settore internet) sia interessato ad acquisire un mercato o un numero di utenti e non a sviluppare nuova occupazione.  Al contrario gli imprenditori di fine millennio hanno sempre identificato l’azienda con la famiglia, e viceversa, non accettando di perderne il controllo.  Al limite se dovevano vendere l’azienda dopo generazioni, era per consegnarla a qualcuno che ne avrebbe continuato l’attività. Tuttavia, dopo la exit, i nuovi imprenditori invece di passare il loro tempo nei campi da golf od investire il loro patrimonio in immobili, riprendono a lavorare con ancora maggiore passione. Sono capaci di adattarsi al cambiamento ed al mondo globale piuttosto che estinguersi come invece è successo ad altri che hanno avuto una visione monolitica e troppo familiare dell’azienda. Hanno implementato nella loro prima esperienza un livello di conoscenze e relazioni tali da poter con estrema facilità iniziare, ancora in giovane età, nuove appassionanti avventure, magari più grandi ancora. Appena venduta la loro startup diventano angel, anzi Super Angel, fondano acceleratori o investono in una nuova impresa che magari questa volta quoteranno in Borsa, visto che hanno più capacità di prima.

Sembra dunque che si stia passando da un modello di imprenditoria familiare ad un modello di “imprenditorialità diffusa” attraverso il quale questa nuova “razza” si espanderà a macchia d’olio e favorirà il moltiplicarsi di nuovi e appassionanti progetti che contribuiranno fattivamente a far crescere il nostro Paese.

EconomyUp, marzo 2016

CAREER LAB & INFORMA24 selezionano un ANALISTA BIG DATA

29 Mar 16
AVF Staff
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7 Aprile 2016 Ore 9.30

C/O Cantiere Prato PIN – Aula 111 LABORIS Piazza Ciardi, 25 Prato

DESTINATARI DELLA SELEZIONE: laureandi e laureati in Economia e Commercio, Economia Aziendale, Statistica, Scienze dell’Economia, Governo e Direzione di Impresa, Statistica, Scienze Attuariali e Finanziarie, Matematica, Ingegneria Informatica, Ingegneria delle Telecomunicazioni

 

CAREER LAB_ INFORMA24_7aprile2016

LAVORO, CON IL MERCATO DIGITALE TRASFERIRSI ALL’ESTERO NON È NECESSARIO

29 Mar 16
AVF Staff
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Se l’orientamento attuale dei giovani è quello di andare all’estero per cercare un’occupazione decorosa nell’era di Internet ci sono cambiamenti di scenari che sono destinati a rivoluzionare anche il modo di concepire il lavoro e che potrebbero indurre un’inversione di tendenza, specialmente nelle nuove professioni per le quali diventa normale lavorare a distanza con pc e smartphone. Più che su un eventuale trasferimento all’estero i giovani potrebbero avere dunque maggiori possibilità di realizzare i loro obiettivi professionali puntando sulle competenze che richiedono multinazionali ed altre grandi realtà, ad esempio quelle necessarie per cogliere le opportunità del mercato digitale.

Quest’ultimo se da una parte costituisce una vera e propria opportunità, sia per le imprese che per i professionisti, dall’altra necessita di precise regole del gioco. Con l’arrivo dei Big Data e l’internet degli oggetti ci sono sfide da affrontare che sono legate proprio ai rischi “dirompenti” che ruotano attorno a privacy, sicurezza e fiducia come pure all’impatto che tutto questo avrà sulle competenze e sull’occupazione. In altre parole se da una parte la digital economy genererà un’ impennata di richieste nel mercato delle professioni dell’ICT, il pericolo che incombe è invece quello di perdere il controllo della situazione e compromettere la fiducia degli utenti, i quali devono percepire trasparenza e senso di sicurezza per potersi sentire a loro agio mentre gestiscono le loro attività sul web. Mantenere gli equilibri necessari per lo sviluppo dell’economia digitale è possibile individuando regole che tengano conto di tutti gli interessi in gioco, tutelando quindi anche i diritti del consumatore, a cominciare da quello che gli viene riconosciuto sulla protezione dei propri dati personali.

Il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati costituisce dunque un nodo cruciale per l’economia dell’UE.  In vista della scadenza per l’approvazione di quest’ultimo Federprivacy ha svolto un’indagine, denominata “I profili professionali sulla  privacy e il nuovo Regolamento Europeo”, su un campione di 1.000 aziende operanti in Italia che sono direttamente interessate ad avere specialisti della data protection nel loro organico. Attraverso tale indagine Federprivacy ha illustrato gli scenari del settore che prevede non solo i profili di esperti IT, ma anche figure professionali di garanzia, come il responsabile della gestione dei dati (il c.d. privacy officer) e il responsabile allo sportello per i diritti dell’interessato e di relazione con gli stakeholder. Si tratta dunque di un concreto contributo per fare chiarezza su cosa richiede effettivamente il mercato e per individuare quali sono le competenze ricercate dalle aziende, non solo per proteggere fisicamente i dati, ma anche per creare quel clima di fiducia che sta perseguendo l’UE al fine di sfruttare appieno il potenziale del mercato digitale.

Adnkronos, settembre 2015

NIENTE CRISI PER LA JOB ECONOMY DELL’ICT. MA C’È SKILL GAP

25 Mar 16
AVF Staff
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Secondo l’indagine “e-Competence Benchmark”, condotta dal consorzio europeo Cepis, entro il 2020 il settore potrebbe avere bisogno di 900mila lavoratori che tuttavia non riuscirà a trovare, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Attualmente il settore dell’Information technology garantisce al 78% dei propri addetti un posto di lavoro a tempo pieno ed il 36% è assunto da grandi gruppi imprenditoriali, ma solo il 23% possiede le competenze sufficienti per operare ai massimi livelli. I profili oggi più diffusi sul mercato (i project manager ed a seguire gli sviluppatori, i consulenti, gli amministratori di sistemi, i Cio e gli specialisti delle tecnologie) non sono quelli di cui il settore avrà bisogno nel futuro. Esiste un enorme divario tra le conoscenze teoriche dei professionisti e quelle effettive. Ad esempio, solo il 7% dei project manager (il profilo più diffuso tra i 2.200 partecipanti all’indagine) risulta disporre della preparazione prevista dal framework europeo per svolgere questo incarico.

Sul fronte generazionale e sul versante gender,  si notano ancora gravi carenze di giovani occupati e uno squilibrio di genere. L’età media europea per un professionista è di 42 anni e solo il 16% è under 30. In tutto il continente, inoltre, solo il 15% è donna e le figure più comuni sono trainer Ict e project manager.

La parità di accesso al mercato del lavoro è un problema molto sentito anche in Italia. L’età media degli addetti informatici è in linea con quella europea, ma i giovani del nostro Paese pagano un record negativo che nessuno vorrebbe detenere: la percentuale di lavoratori sotto i trent’anni è di gran lunga la più bassa di tutta la Ue (11,2%). Stesso discorso vale per le donne che corrispondono all’11% del totale dei professionisti It (ovvero a quattro punti percentuali in meno rispetto ai dati dell’Unione).

Il nostro paese inoltre non si differenzia troppo dagli altri Paesi sul grado di scolarizzazione degli addetti, almeno per quanto riguarda i livelli di istruzione superiore, anche se un terzo dei professionisti possiede un background formativo non focalizzato sull’Ict.

Con l’accesso all’università il discorso cambia e la forchetta con la Ue si allarga: il tasso di lavoratori con laurea, master o dottorato è inferiore alla media europea (79% contro 86%). Solo il 26% degli italiani che ha partecipato all’indagine ha infatti ottenuto un master o un dottorato, mentre la media del resto del continente è invece del 40%.

La situazione non è ovviamente uguale all’interno dei vari profili richiesti dalle aziende. In tre casi (sviluppatori, amministratori di database e amministratori di sistemi) il livello di istruzione raggiunto è inferiore alla media dei colleghi degli altri Paesi. Invece, per ruoli quali business information manager, business analyst, Ict security manager, project manager e account manager si riscontra che almeno il 90% degli intervistati ha ottenuto una laurea o un titolo superiore.

In definitiva, come sottolineato dal Direttore di Aica (l’Associazione che rappresenta il consorzio Cepis in Italia) i professionisti Ict hanno il potenziale per fornire un enorme contributo alla ripresa economica dell’Europa, ma ciò non potrà accadere a meno che non si trovino abbastanza persone con le capacità adeguate. Garantire un numero sufficiente di lavoratori con le giuste competenze deve diventare una priorità assoluta per tutti e in particolare per l’Italia, dove risulta fondamentale incoraggiare un maggior numero di giovani nella carriera dell’information technology.

Technopolis, marzo 2015

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